Tempo e utopia: E. Bloch e W. Benjamin
La linea speculativa della quale Bloch si sente erede e interprete sul problema dell'attimo è quella che va da Platone, che considera l'attimo come "curioso qualcosa" che funge da intermedio tra la quiete e il movimento al di fuori del tempo, al detto di Faust "Verweile doch, du bist so schön" fino al nunc stans, l'adesso della perfezione, della mistica di Meister Eckhart. L'intento teoretico di Bloch è, come ha ben messo in luce R. Bodei, quello di rovesciare la concezione del tempo che ha il presente al suo centro, identificata in maniera del tutto problematica e non univoca con la linea aristotelica e agostiniana.
L'analisi blochiana prende avvio dalla distinzione, formulata in modo chiaro nell'ambito della categoria dimensionante del tempo in Experimentum mundi, tra praesens e praesentia: l'uno è il presente ordinario, il tempo del fatto-che, interrotto dal "mai" nel pulsare della vitalità e analogo al "qui" nell'immediatezza del suo darsi, l'altro è invece l'attimo autentico, quello che permette il coglimento del contenuto intensivo, "il momento della mediazione più profonda e articolata, della decisione, della nascita del nuovo" (E. Bloch, Experimentum mundi). Inoltre la concezione blochiana del tempo caratterizza la temporalità come il modo di essere dei movimenti e dei processi materiali, che si articola in una pluralità di strati distribuiti nello spazio storico come i quanta di energia. In questa prospettiva il tempo dilatato ed esteso della natura si pone su un piano diverso dal tempo intensivo della storia, specie nei suoi momenti topici: il tempo del sole di Omero è ancora quello del nostro sole, ma il tempo storico di Omero ha un importo di singolarità e ricchezza che lo rende unico. Si delinea così quel Multiversum di strati temporali che permette di superare la cronologia lineare astratta e indifferente ai propri contenuti e di avvicinarsi invece all'autentica comprensione del tempo come tendenza, come struttura che ha perso la sua rigidità e segue con continui sbalzi le modificazioni dello spazio materiale, sicché il tempo non ha alcun significato come cosa in sé, né tantomeno come categoria neutra e astratta bensì si modella in modo elastico sul processo teleologico della storia e della natura. Questa visione si accorda perfettamente con l'esperienza della discontinuità del tempo vissuto, dell' "ora" interrotto dal pulsare del "mai", della disomogeneità temporale che è stata il grande e imprescindibile apporto dell'arte del Novecento dalla pittura cubista, espressionista e surrealista, alla rivoluzione del tempo del romanzo in Joyce, Proust, Mann e naturalmente all'intersezione dei tempi nella musica sinfonica.
La concezione del tempo di Walter Benjamin è legata a doppio filo con quella della storia: le Tesi di filosofia della storia (pubblicate postume dopo la tragica morte per suicidio avvenuta nel 1940) esprimono il proposito di considerare lattualità come laltra faccia delleternità. In altri termini significa imprimere una svolta politica e teologica insieme alla lettura del tempo e della storia: politica perché è la condizione del presente che rende possibile e definisce la prospettiva dello sguardo verso il passato e della speranza verso il futuro; teologica perché nella Jetzt-Zeit (il tempo-ora, la-presente) si rende visibile linterruzione del tempo e il processo frammentario e non continuo e lineare della storia. La venuta della salvezza la Rivoluzione o il Messia potrebbe aderire a una di queste linee di sutura del processo storico, in cui la dolorosa memoria del passato si raccoglie e la necessità del futuro è addensata nellattimo. Ecco la celebre e formidabile allegoria che Benjamin fornisce:
Cè un quadro di Klee che si intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. Langelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre linfranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.
(W. Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in Angelus Novus, Torino, 1962)