Il tempo narrato: la Recherche di Proust e l’Ulysse di Joyce

L’intera opera di Marcel Proust è senza retorica dedicata alla ricerca del Tempo, uno sforzo per molti aspetti superiore alle sue stesse forze di uomo, connaturato alla malattia nell’intreccio mirabile tra malattia e scrittura. Con A la recherche du temps perdu, pubblicata tra il 1913 e il 1927 in parte dopo la morte dell’autore, si dispiega il multiforme paesaggio del Novecento, la complessità policentrica della riflessione sul tempo; la visione in qualche modo unitaria sul tempo, ancora presente nei diversi tentativi ottocenteschi, si frantuma in un caleidoscopio scintillante e in un gioco di specchi rifrangenti. In un’intervista rilasciata all’indomani della pubblicazione del primo volume della Recherche, Proust spiegava la sua concezione del romanzo con la differenza che corre fra la geometria piana e la geometria nello spazio: “Ebbene, per me il romanzo non è solo fatto di psicologia piana, ma anche di psicologia nel tempo”.
Riprendendo il filo dell’enorme opera di Balzac, Proust teorizza e mette in opera l’interpolazione dei tempi, ossia il diritto per un romanziere a non seguire il filo della successione cronologica nella definizione dello sviluppo di un personaggio ma a interrompere il corso della narrazione, seguire piste laterali, riprendere e lasciare nuovamente, ritrovando persone, oggetti, luoghi in punti diversi della narrazione in modo da costituire non un affresco unitario ma un complesso mosaico formato da minuscole tessere.
E’ così per Combray, il piccolo paese di campagna delle villeggiature d’infanzia del narratore, trasfigurato nella memoria involontaria scaturita dalle sensazioni di una madeleine inzuppata nel tè, così per Swann, l’eroe che vive in tempi diversi a seconda del punto di vista da cui lo si osserva, così per Albertine, fanciulla in fiore, amata, progioniera, scomparsa, così per la stessa voce narrante morta e risorta molte volte quante la caducità della memoria ha spezzato e ripreso il filo dell’esperienza coscienziale.
L’opera di Proust è una formidabile e instancabile ricerca corale della verità attraverso il filtro dell’idea di Tempo: una verità per cui non esistono fondamenti ma solo contenuti e tendenze da ricercare e percorrere. La Recherche, come la critica più accorta ha messo in luce, non è un’autobiografia, né una visione soggettiva, né la storia di un’interiore ricerca spirituale di ispirazione romantica, neppure un’interpretazione del mondo alla Bergson che contrapponga una durata soggettiva a un tempo oggettivo e indifferente: la Recherche è un grandioso tentativo di tracciare delle strade verso la verità attraverso lo strumento della narrazione e la rivoluzione della narrazione stessa. Una vita non compie mai un percorso che va dal punto A al punto B, ma prende scorciatoie, deviazioni, si intreccia con altre vite, con la disposizione degli oggetti, disegna una nuova geografia; tanto più una vita narrata rappresenta la cartografia simbolica e metaforica di questa nuova geografia del Tempo.
Tra gli innumerevoli possibili scegliamo il passo conclusivo del Tempo ritrovato e dell’intera opera, in cui il narratore, trovatosi alla matinée presso i principi di Guermantes, vede ,come in un ballo mascherato, i volti di coloro che aveva conosciuto un tempo:

“ Capivo adesso perché il duca di Guermantes, che avevo ammirato, guardandolo seduto su una sedia, nello scorgerlo così poco invecchiato, pur avendo sotto di sé tanti anni più di me, non appena s’era alzato e aveva tentato di reggersi ritto, avesse barcollato su due gambe vacillanti come quelle di certi vecchi arcivescovi sui quali nulla v’è più di solido tranne la croce metallica, e intorno ai quali si dan premura i giovani seminaristi solleciti, e perché avesse proceduto poi tremando come una foglia, sulla vetta poco praticabile dei suoi ottantatre anni, come se gli uomini fossero appollaiati sopra vivi trampoli, crescenti senza posa, a volte più alti dei campanili, tali da render loro difficile e periglioso il camminare, e da cui, d’improvviso, precipitan giù. Mi sgomentava il pensiero che i miei fossero già così alti sotto i miei passi; mi sembrava che non avrei avuto la forza di tenere ancora a lungo avvinto a me quel passato che discendeva già così lontano. Se almeno essa mi fosse stata lasciata abbastanza a lungo da poter condurre a compimento la mia opera, non avrei mancato anzitutto di descrivervi gli uomini, anche se questo avrebbe potuto farli somigliare ad esseri mostruosi, come occupanti un posto ben altrimenti considerevole, accanto a quello così angusto riservato loro nello spazio: un posto, al contrario, prolungato a dismisura, - poiché essi toccano simultaneamente, giganti immersi negli anni, età così lontane l’una dall’altra, tra le quali tanti giorni sono venuti a interporsi, - nel Tempo”.
(M. Proust, Il tempo ritrovato, 1927, tr. it. 1951)

Per molti versi l’opposto della distensione proustiana, il tentativo di Ulysses di James Joyce rappresenta la negazione e il superamento del concetto di narrazione nello spazio-tempo. Mentre il tempo esterno scorre lentamente nello spazio di una singola giornata, quello interiore, il tempo del flusso di coscienza si dilata a dismisura, dando vita a delle coordinate virtuali che disegnano nello spazio di una carta topografica di Dublino l’Odissea di un uomo qualunque, Mr. Leopold Bloom. Lo stream of consciousness fa esplodere il rapporto fra intreccio e fabula, tanto che entrambi sembrano tendere verso una paradossale coincidenza. La ricerca di Ulisse-Leopold Bloom, insieme agli altri due componenti della Trinità, Telemaco-Stephen Dedalus e Penelope-Molly Bloom è una ricerca polifonica sotto cui si percepiscono le diverse modulazioni di una voce sola. Il Tempo narrato, invece che essere la soluzione agognata come in Proust, viene frantumato, perde ogni consistenza, pur apparendo dall’esterno come una normalissima giornata di un uomo qualunque, il 16 giugno del 1904: Ulysses è come uno sguardo dentro la materia, dotata di una forma a guardarla dall’esterno, brulicante di vita caotica e magmatica allo sguardo del microscopio. Il tentativo, enorme e non scomponibile in citazioni, è quello di rappresentare il Tempo nella successione continua di passato, presente e futuro che tendono verso la simultaneità, la compresenza cronologica nella pagina (J. Joyce, Ulysses, Paris, 1922).