Della visione e dell’enigma:
“Also sprach Zarathustra”, VI, I, 191


"Alt, nano! Dissi. O io o tu! Ma di noi due il più forte sono io: tu non conosci il mio pensiero abissale! Quello tu non potresti sopportarlo!"
E qui accadde qualcosa che mi rese più leggero: giacché il nano saltò giù dalla mia spalla, il curiosone! E andò ad accovacciarsi su un sasso davanti a me. Proprio lì, dove c’eravamo fermati, c’era una porta carraia.
"Guarda questa porta carraia, nano!" continuai: "essa ha due fronti. Due strade si congiungono qui: nessuno finora le ha percorse fino in fondo. Questa lunga strada all’indietro: essa dura un’eternità. E quella lunga strada in avanti: quella è un’altra eternità. Esse si contraddicono, queste strade; cozzano con la testa l’una contro l’altra: e qui, sotto questa porta, è il punto in cui esse si congiungono. Il nome della porta sta scritto sopra di essa: attimo. Ma chi si inoltrasse su una di esse – e andasse sempre più oltre, sempre più lontano: credi tu, nano, che queste strade si contraddirebbero in eterno?"
"Tutto ciò che è diritto mente" borbottò sprezzantemente il nano. "Ogni verità è curva, il tempo stesso è un circolo."
(F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, III, 2, Rizzoli, 1985)

Si potrebbe dire che il fascino terribile che emana da questo passaggio del filosofo che più di ogni altro ha aperto la strada al Novecento, nonostante fosse ancora per molti versi uomo dell’Ottocento, coglie un nodo del pensiero, definisce un’immagine che non si lascia sciogliere facilmente neppure dalla più sottile ermeneutica. Qui ci troviamo dinanzi ad uno di quei cortocircuiti del pensiero capaci di illuminare con un lampo improvviso e ritrarsi immediatamente nell’oscurità dell’esoterismo o di quel che potrebbe anche chiamarsi follia.
Contro il pensiero finalistico e teleologico di matrice teologica Nietzsche elabora l’idea dell’eterno ritorno (ma sarebbe meglio dire accoglie, riceve, ascolta? Il pensiero-goccia di piombo viene a lui nell’agosto 1881, passeggiando lungo il lago di Silvaplana, 6000 piedi aldilà dell’uomo e del tempo!), derivatagli da Eraclito e dagli stoici, con la quale scardina il vecchio concetto di tempo psicologico o misurabile, soggettivo e oggettivo, e affronta il tempo come tempo della vita, della decisione che prende possesso della propria esistenza (amor fati), della fedeltà alla terra. Il tempo come tempo del superuomo/oltreuomo, Übermensch, utopìa della liberazione dalla schiavitù morale e metafisica, esplicazione delle piene potenzialità dell’uomo.
Zarathustra, parlando all’equipaggio della nave su cui si è appena imbarcato, gente che ama i lunghi viaggi e non ama vivere senza pericolo, racconta dell’enigma e della visione del solitario: Zarathustra sale il ripido sentiero della montagna, quando sente addosso lo spirito di gravità che prende la forma di un nano. Lo spirito di gravità cerca di appesantirlo, di trascinarlo di nuovo a valle, di instillare piombo nei suoi pensieri, finché Zarathustra si ribella, scrolla di dosso il nano e parla della grandiosa visione del Tempo. Due strade, congiunte sotto un’architrave sulla quale sta scritto “attimo”, si dipartono oltre la porta carraia verso gli invisibili confini dell’eternità. E se le strade (passato e futuro?) si congiungessero anche là dove l’occhio dell’uomo non può vedere? Se tutto quanto accade, il sentiero, il nano, la porta, il ragno lento che striscia nel chiaro di luna, si ripetessero infinite volte, fossero già stati e destinati ancora per sempre ad essere? Il pensiero dell’eterno ritorno è terribile, immenso, provoca senso di vertigine e smarrimento, dal fondo del quale può scaturire la scintilla della meraviglia e della comprensione: al risveglio Zarathustra vede un uomo che, dopo la lotta col serpente che voleva soffocarlo, ne sputa via la testa e ride d’un riso liberato e gioioso. Zarathustra non smetterà mai di avere nostalgia di quel riso, nostalgia di una condizione diversa e migliore. Forse sta qui la chiave della difficile comprensione del concetto di tempo in Nietzsche, al punto d’incrocio tra utopia e nichilismo sotto l’architrave della Vita, dove non vi sono certezze in una salvezza metafisica ma solo possibilità e coraggio di scegliere per la fedeltà al mondo e alla terra.