Il tempo del lavoro e il tempo della rivoluzione: Karl Marx

Vi sono alcuni momenti nella storia dell’uomo e della natura in cui il tempo sembra avere un’intensità diversa, straordinariamente più profonda che in altre epoche: quale rapporto c’è fra il tempo immemorabile in cui l’acqua ha lavato sempre le stesse pietre levigandole anno dopo anno, secolo dopo secolo, e la fulminea intensità di anni come il 1789, il 1848, il 1870 o anche, più vicino a noi, il 1989?
Marx, insieme ad Engels, pubblica il Manifesto del partito comunista proprio nel 1848, dopo le profonde riflessioni di carattere economico e umanistico dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 e prima delle grandi opere del periodo della maturità. Allora Marx ha già chiaro il significato sociologico, politico, storico e culturale della sottrazione del tempo del lavoro che avviene nel sistema del capitalismo borghese. La mistificazione della merce, che acquista un valore aggiunto inspiegabile e comunque non adeguatamente redistribuito dopo che è stata prodotta, avviene a motivo della quantità di lavoro dell’uomo che si trova cristallizzato nella merce. Il salario viene calcolato in base alla quantità di energia e al tempo necessari per la ricostituzione della forza-lavoro impiegata nella produzione. Ma il tempo che l’operaio impiega nella produzione della merce è equivalente al tempo di riposo concesso per la ricostituzione della condizione originale? Marx dice naturalmente di no e individua in questo passaggio il carattere intrinsecamente ingiusto della forma economica e sociale del capitalismo:
“Come l’esistenza quantitativa del movimento è il tempo, così l’esistenza quantitativa del lavoro è il tempo di lavoro… Quale tempo di lavoro esso attinge la propria misura dalle misure naturali del tempo: ora, giorno, settimana ecc. Il tempo di lavoro è l’esistenza vivente del lavoro, indifferente alla sua forma, al suo contenuto, alla sua individualità; esso, insieme alla sua misura immanente, ne è l’esistenza vivente in quanto esistenza quantitativa. Il tempo di lavoro oggettivato nei valori d’uso delle merci come rappresenta la sostanza che li rende valori di scambio, e quindi merci, così d’altro canto misura la loro determinata grandezza di valore. Le quantità correlative di valori d’uso differenti, in cui è oggettivato uno stesso tempo di lavoro, sono degli equivalenti, ovvero tutti i valori d’uso sono degli equivalenti nelle proporzioni in cui essi contengono lo stesso lavoro compiuto e oggettivato. Come valori di scambio, tutte le merci sono solo determinate misure di tempo di lavoro coagulato.” (K. Marx, Per la critica dell’economia politica, 1859).
Di qui nasce la convinzione che solo il proletariato, reimpadronendosi del tempo sottratto, possa essere depositario dell’avvenire e sia quindi l’autentica classe rivoluzionaria. Questa profonda e meditata riflessione risuona nell’impeto delle parole finali del Manifesto: “I proletari non ci han da perdere che le loro catene. Hanno da guadagnarci tutto un mondo. PROLETARI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI!”