Kant e l’idea trascendentale di tempo
(Critica della ragion pura, parte I, sez. II, par. 4-7)


Verso la fine del secolo XVIII, quando l’umanità stava ancora uscendo dallo stato di minorità (Risposta alla domanda Che cos’è l’illuminismo?), il professore di Königsberg andava costruendo la sua grandiosa architettura della ragione, fondata in buona parte sui concetti trascendentali di spazio e tempo.
La lezione di Leibniz e quella di Newton vennero assorbite nella prima trattazione dei concetti di spazio e tempo intesa a definire i criteri della conoscenza e non un carattere delle cose in sé.
Il primo gradino del Tempio della Ragione è costituito dall’Estetica Trascendentale, ossia dall’esposizione di come attraverso la sensibilità ci vengano date le rappresentazioni e le intuizioni degli oggetti. Kant fornisce un vero e proprio schema di come lo spazio e il tempo siano le forme pure dell’intuizione sensibile, senza le quali non potremmo rappresentarci alcunché di ciò che è esterno. Il tempo non è nulla di oggettivo, né di reale, non è qualcosa di empirico né qualcosa che possa derivare dalla giustapposizione o successione degli elementi; si tratta bensì di una rappresentazione necessaria a priori che rende possibili i giudizi sintetici a priori sulle cose di cui può esserci esperienza. L’intuizione del tempo è originaria, infinita e sganciata da qualsiasi rappresentazione empirica: il tempo è null’altro se non la forma del senso interno, cioè dell’intuizione di noi stessi e del nostro stato interno. In effetti, il tempo non può essere per nulla una determinazione di apparenze esterne: esso non si riferisce a una figura, a una posizione ecc. Il tempo, al contrario, determina il rapporto delle rappresentazioni nel nostro stato interno”. Appunto a questa mancanza di figure possibili noi suppliamo con immagini e analogie come le linea retta del tempo, la successione, la freccia del tempo. Ma il tempo altro non è che una, ma probabilmente la più importante, condizione del conoscere.
L’impetuoso risveglio dal sonno dogmatico, compiuto grazie all’opera di David Hume, conduce Kant a percorrere la strada inversa rispetto al filosofo inglese: Hume aveva ricondotto il principio di causalità nell’alveo della semplice successione temporale (dal propter hoc al post hoc), Kant, partendo dalla concezione trascendentale della temporalità, comprende il principio di causalità all’interno del modo in cui l’intelletto conosce i fenomeni e le relazioni fra di essi (cfr. la seconda analogia dell’esperienza nella terza sezione dell’Analitica delle proposizioni fondamentali).
Con Kant si compie la rivoluzione copernicana avviata nell’età moderna: l’uomo è posto al centro, depositario dell’idea originaria di tempo, strumento indispensabile della sua conoscenza. Così si perde la specificità dell’individuo, la ricchezza delle diverse rappresentazioni temporali, e il tempo della matematica e della fisica newtoniana viene eletto a forma a priori dello spirito.
La visione dell’uomo verso il mondo sarà sempre, d’ora in poi, una visione nel tempo.