L’orologio di Galileo

Lo spirito demiurgico di Leonardo da Vinci si pone, per molti versi, ancora alle soglie della nuova scienza: la ragione deve arricchirsi attraverso il passaggio per la “nota sperientia”, ma il tempo dell’esperienza, irriflesso e immediato, non è ancora il tempo dell’esperimento, consapevole e misurato.
Tra il 1609 e il 1619 Johannes Kepler formula le sue celebri leggi sul movimento dei pianeti, seguendo in maniera decisa l’ipotesi eliocentrica di Copernico e il metodo matematico applicato alla lettura della realtà. Il tempo diventa una grandezza fisica, è introdotto all’interno di una formula matematica; la metafora che ispira la visione del mondo – come scrisse lo stesso Kepler in una lettera del 1605 – “non è costruita sul modello di un divino animale, ma sul modello di un orologio” regolato da attrazioni e movimenti meccanici. Ma la figura che raccoglie in sé il senso e il mito della Rivoluzione scientifica è Galileo Galilei, il quale fornì prove sperimentali alle teorie di Copernico, decifrò il linguaggio matematico-geometrico del Gran Libro della natura, rinnovò il metodo di indagine attraverso l’osservazione, la formulazione delle ipotesi e la verifica sperimentale. Il tempo si distingue dalla semplice durata ed è concepito come ens rationis, variabile matematica, caratteristica dei corpi, grandezza misurabile attraverso la regolarità delle oscillazioni: la scoperta dell’isocronìa del movimento del pendolo permette di costruire i primi orologi meccanici di una certa precisione. La nuova rappresentazione del mondo diventa così riproducibile in uno strumento meccanico atto a misurare il trascorrere del tempo.