Lo spazio tempo-assoluto: un carteggio del 1716

Fu Isaac Newton a stabilire nei suoi Principia mathematica la verità, l’assolutezza e la regolarità misurabile del tempo: “Tempus absolutum, verum et mathematicum in se et natura sua sine relatione ad externum quodvis, aequabiliter fluit”. A partire dalla definizione del moto assoluto, spazio e tempo diventano le coordinate invariabili delle leggi del movimento e delle relazioni fra i corpi: il Dio orologiaio muta in Dio matematico e geometra.

Nel corso dei primi mesi del 1716 vi è un intenso scambio di corrispondenza tra lo scienziato e filosofo inglese Samuel Clarke, difensore della linea newtoniana, e G. W. Leibniz, il grande pensatore del mondo come possibilità ancora in parte inespressa. Il tempo per Leibniz, a differenza che per Newton, è relazione: “ho osservato più di una volta che considero lo spazio come qualcosa di puramente relativo, così come il tempo: è un ordine delle coesistenze, al pari del tempo, che è un ordine delle successioni” (III lettera a S. Clarke del 1716, par. 4). In altri termini il tempo non ha una sua realtà assoluta al di fuori dei corpi, poiché in questo caso non vi sarebbe stata alcuna ragione sufficiente della creazione del mondo da parte di Dio in un preciso momento piuttosto che in un altro: “gli istanti, fuori delle cose, non sono nulla e non consistono se non nel loro ordine successivo” (Ibidem, par. 6).
Clarke obietta che lo spazio-tempo ha una sua realtà e una sua quantità: se esso fosse solo ordine di successione e pura relazione non avrebbero senso i termini prima e dopo, poiché due successioni uguali non sarebbero distinguibili: “se poi il tempo non fosse che l’ordine di successione delle cose create, ne seguirebbe che, se Dio avesse creato il mondo milioni di anni prima, Egli non l’avrebbe tuttavia creato prima” (III risposta di Clarke del 1716, par. 3). Ma per Leibniz non si possono dare, se non nella finzione impossibile, due cose o eventi indiscernibili così come non si trovano due foglie identiche in tutto il giardino di Herrenbausen (IV lettera di Leibniz del 29 maggio 1716, par. 4): abbiamo dunque a che fare con una struttura relazionale degli eventi che è vissuta dall’uomo nel mondo fisico come tempo. Il tempo è l’ordine delle possibilità del mondo e non può essere trattato come una sostanza cristallina (IV lettera a Clarke, par. 10 e 16): la lungimiranza delle posizioni di Leibniz sarebbe stata colta molto tempo dopo, anche se il rapporto tra il principio metafisico (vis primitiva) e il principio fisico (vis derivata) non viene del tutto chiarito dal filosofo tedesco.