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Gaming

Saggi sulla cultura algoritmica

Citando più di 50 giochi, l’autore elabora una classificazione delle azioni videoludiche, per comprendere il significato culturale e politico del modo in cui i videogiochi sono fatti, delle loro regole e dei loro sistemi di programmazione. Galloway spiega che cosa i videogiochi ci fanno fare, e intuisce che la società degli algoritmi e delle piattaforme digitali funziona allo stesso modo: facendoci giocare, gioca le nostre vite. Eppure nel gaming c’è sempre anche una possibilità di trasgressione, un’ipotesi di sovversione in cui si può giocare contro il sistema. In questa possibilità va cercata forse un’indicazione politica per il nostro tempo.

“Nell’età moderna l’ideologia era uno strumento di potere, ma nella post-modernità l’ideologia è un’esca”.

In questo libro Alexander Galloway analizza i videogame come una specifica costruzione culturale, che richiede nuovi strumenti interpretativi. Utilizzando la teoria critica e i media studies, affronta i videogame non come dei testi, ma come dei processi, degli algoritmi da attraversare. Se le fotografie sono immagini e i film sono immagini in movimento, i videogame sono azioni. E il loro significato va compreso non tanto in base a ciò che ci mostrano, quanto in base a ciò che ci chiedono di fare.
In questo senso, i videogame sono un oggetto culturale che ci mostra la logica profonda della cultura algoritmica e della società delle piattaforme, in cui il funzionamento dei dispositivi determina le nostre azioni, le nostre scelte e le nostre posture.

Gaming è un libro per coloro che vogliono conoscere il mutamento culturale della nostra epoca: dalla conoscenza fondata sulla contemplazione a quella fondata sull’azione. Il videogame diventa il paradigma mimetico di attraversamento e comprensione del mondo: il realismo dei videogiochi sta nel modo in cui riproducono le dinamiche della società digitale.
L’interpretazione della logica del videogioco diventa quindi uno strumento di comprensione della realtà e delle sue dinamiche rappresentative: parla a creativi e creatrici, studiosi e studiose delle arti performative, ricercatori nei game studies, game designer, filosofi dei media, teoriche della comunicazione, nuovi scrittori, scrittrici, artisti visivi.

Alexander R. Galloway è scrittore e programmatore in ambito filosofico, tecnologico e di teoria dei media. Dal 2002 è membro della Facoltà di Media, Culture and Communication della New York University.

Giacomo Pedini è Dramaturg, regista e scrittore nell’ambito del teatro e delle arti performative. Insegna regia all’Università di Bologna. Dal 2020 è direttore artistico di Mittelfest di Cividale del Friuli.

Mauro Salvador è docente all’Università di Bologna e all’Università di Modena e Reggio Emilia. Insegna game design alla Event Horizon School e progetta giochi con il collettivo Dotventi.

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Galloway parla di reti dell’informazione, di relazioni e connessioni come sostanza della società algoritmica. Si tratta per Galloway di focalizzarsi sulle “corrispondenze”. Così come la città informatica del più volte citato sociologo Manuel Castells vive di comunicazione e correlazione, di una rete partecipativa, connessa e interattiva che si va a sovrapporre a quella urbanistica, fisica, architettonica, dura e reale, così il gaming pone in evidenza la struttura relazionale della vita algoritmica.
Ecco allora un’illuminazione (una delle tante in un testo che segue una traccia forte ma che vive anche di sobbalzi e intuizioni poi spiegati, svolti, rielaborati): “gli atti di configurazione sono un’interpretazione grafica, un rendering, della vita.”
Il “rendering della vita” è proprio quello spazio, quella logica culturale che oggi è informatica, algoritmica, e che il videogame riesce non solo a rappresentare, ma a vivificare all’interno del suo stesso funzionamento. (E quanto ci servirà l’analisi di questo “rendering della vita” nella critica dei metaversi prossimi venturi!).

Dal saggio introduttivo di Simone Arcagni, Rendering in corso…

È avvenuto, per la prima volta dopo parecchio tempo, un interessante terremoto nell’ambito della cultura di massa. Ciò che, abitualmente, era anzitutto dominio degli occhi e dello sguardo, riguarda adesso più i muscoli e il fare – anzi i pollici, per essere precisi. Inoltre, ciò che abitualmente era l’atto del leggere è ora l’atto del fare, o più semplicemente l’atto. In altre parole, mentre i media di massa come il cinema, la letteratura, la televisione e simili continuano a generare varie discussioni su rappresentazione, testualità e soggettività, è nel frattempo emerso un medium del tutto nuovo, i computer e nello specifico i videogame, che si fonda non sullo sguardo o sulla lettura, ma sul sollecitare dei mutamenti materiali attraverso l’azione. La cosa più curiosa di questo terremoto è che, per rubare la definizione di hacker data dal Critical Art Ensemble, i lavoratori culturali più importanti sono oggi i bambini.
Le persone muovono le mani, i corpi, gli occhi e le bocche quando giocano a un videogame. Pure le macchine agiscono. Lo fanno in risposta alle azioni dei giocatori, ma anche indipendentemente da loro. Philip Agre, sfruttando metafore linguistiche e strutturali, parla di “grammatica dell’azione”, quando deve descrivere il modo in cui le attività umane sono codificate per l’analisi da parte dei dispositivi.

Dal capitolo Azioni di gioco (Gamic Action)

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