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Incipit

Il 1 ottobre 2004 all’Auditorium di Roma, Aldo Busi legge un brano inedito e sette incipit di sette suoi romanzi. La letteratura avviene. Gli incipit – vale a dire i cominciamenti che contengono di un’opera lo svolgimento e l’epilogo – vengono letti dallo Scrittore che riproduce il flusso psichico della voce narrante con cui sono stati scritti. Una festa orale della lingua italiana per scoraggiare i “giovani autori”, un manuale di scrittura per i non lettori di ogni età. Uno specchio d’artista: una riflessione, una presa della parola che equivale a un prendere le distanze dagli scriventi al soldo del nulla o, peggio, del molto poco. a te, che mi stai leggendo tra cent’anni e ti meravigli delle banalità senza importanza qui e ora chiamate con tutt’altro nome e con un’en- fasi per te, graziato fra i molti, felicemente incomprensibile, e a te, disgraziato piú di tutti, che non mi hai mai letto né mai mi leggerai Aldo Busi

Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, nep- pure una reminescenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo a un risolino di stupore, stupore di essercela tanto presa per cosí poco, e anch’io ho creduto fatale quanto si è poi rivelato letale solo per la noia che mi viene a pensarci. A pezzi o interi, non si continua a vivere ugualmente scissi? E le angosce di un tempo ci appaiono come mondi talmente lontani da noi, oggi, che ci sembra inverosimile aver potuto abitarli in passato.
Seminario sulla gioventú

Come se fosse dentro una delle opere di Fabio Mauri, la voce di Fabio Mauri viene proiettata su un fondale nero, buio. Sul quale inizia a tremare una luce, debole, chiara: è la memoria, che faticosamente cerca. Lentamente, come una chiazza che si espande, si delinea un profilo. Ma nessuno può dire di chi sia quel volto. Se il volto dell’artista, o quello dell’opera. Probabilmente, entrambi.

La voce ricostruisce una serie di stanze dell’ascolto, entro cui vengono rievocati, come fossero progetti, i ricordi. Un “poemetto iconografico” ripercorre gli itinerari artistici di Mauri, come una guida (rigorosamente incongrua) attraverso la quale seguire i percorsi della voce. Le immagini si sovrappongono alle parole, in una dissolvenza incrociata che è il vero metodo di questa memoria che scaturisce dall’ascolto: memoria ex auditu.
Non si può scrivere una storia senza date. Lo sto facendo. Devo controllare. Ho diciotto quaderni, non piú aperti da cinquant’anni, legati da uno spago.
Per ora il tempo irresponsabile della memoria vaga, tra fronte e sopracciglio, con mezze immagini, e per metà nel flusso di altri tempi imprecisi, simulando una contemporaneità abituale e una connivenza di senso. Fabio Mauri

Quand’è che si è vecchi? Quando non ci si piace piú e il pensiero di piacere a qualcuno, tu che non ti piaci piú, ti riempie di sgomento, e di orrore, per te e l’improvvida creatura, segnata dai fulminanti traumi della sua cre- scita sentimentale, alla quale potresti far gola perfino tu, perché, suvvia, se non fosse un magma di poco di buono non si accontenterebbe perfino di te e in modo cosí chiaro e disteso, con tanta semplice semplicità; si è diventati vecchi quando ti svegli nel cuore della notte, una notte senza cuore e né capo né coda, diciamo alla tre e dieci del mattino, accendi la prima sigaretta e cominci a riempire l’annaffiatoio al lento rivolo del rubinetto del bagno di sotto, dove la pressione stamattina non potrebbe essere piú bassa e piú snervante l’attesa del pieno a filo del tettuccio, e vai avanti e indietro dieci volte dai vasi di geranio del balcone e dalle aiuole col gelsomino rampicante e la rosa e il cespuglio di trifoglio rosa incastonate nelle scale dell’entrata e i due pungitopo nelle giare calabre, e quando dopo un’ora di zelo riparatore guardi soddisfatto il tuo operato e fai per rientrare, senti un rumore strano alle tue spalle, come di denti del giudizio o monetine scroscianti su un tamburo, ti giri a bocca beante e in quell’istante è cominciato a piovere.
Seminario sulla vecchiaia. Romanzo (interrotto e interrato)

Giuditta trascina una bambolina di pezza e guarda fisso davanti a sé. Angelo guida a passo d’uomo, gira la testa verso di lei. La bimba non si scompone. Cammina a piedi nudi nel suo costumino blé e la strada polverosa ha le sinuosità di un ruscello essiccato. Giuditta incede come una bagnante tradita ma fiera sul carbone ardente del catrame. Angelo le sorride, invano. Giuditta, dopo la faccenda dei suoi tre carnefici mancati coi quali aveva stretto il patto di sangue, non vuole piú saperne di lui. Oh, portarla con sé al lago, vederla di nuovo fare la trottola nell’acqua, asciugarla, pettinarla, metterla davanti al banco dei gelati. Giuditta si ferma a un vaso, armeggia, scompare giú per una discesa; voci di grandi che si levano a chiamarla.
La bambolina infilzata nell’aculeo di una foglia di agave.
Sarebbe questa la fine riservata a un “puttano” come lui?
Vita standard di un venditore provvisorio di collant

Da tempi placentari Teodora sognava palloncini colorati, dalla superficie coriacea, infissi in un cielo senza co- lore, un fondale vago come qualcosa d’incerto se esistere o no. E tenuti per il nodo stesso dell’imboccatura, non svolazzanti, perché non c’era spago allentato da una mano che si disavvinghiasse da un fuso. Erano pallon- cini infinitesimali, capocchie simili a gocce d’acqua nera appena sghembe, in cima a pali della luce appuntiti, matite giganti o guglie di chiesa. Queste luminescenze di aria dura vibravano orizzontali come tante teste recise che neghino con il mento. Poi uno dei palloncini prendeva a enfiarsi e lei viveva la meraviglia di vederlo au- mentare sempre piú e ogni istante era quello dello scoppio rimandato all’istante ulteriore e sempre piú dilagava la massa dalla pelle sempre piú sottile e tesa nello spazio immaginifico dove lei aveva preso a rincorrere a per- difiato la goccia nera perché s’era accorta che quella vescica aveva l’imboccatura nel suo stesso ombelico e da lí suggeva il polposo gas che la stava svuotando per proiettarla verso incomprensibili galassie.
La delfina bizantina

Sarei cosí denso da amare: per esempio dalle labbra mieteresti grappoli di sferee umidità vocali e con il battito dattilografico del vecchio organo potresti trascorrere molte notti ad ascoltare concerti di pura retorica non dis- simili da temporali di primavera. E pensa cosa questi globuli assenti potrebbero per te focalizzare sulla carta in- cendiando l’accademia della lontananza, l’arcadia delle tristezze pratiche nell’attesa che nuove architetture di cispa crollino sotto il rubinetto aperto d’improvviso da ogni risveglio. Non ti parlerei semplicemente d’amore, non si tratta solo d’amore: è coinvolto in questa storia il fluire circostanziato del sangue che si fa inchiostro e lui si racconterebbe attraverso la pressione dei polpastrelli sulla carne di cellulosa.
Io, in questa bella storia d’amore che devasta tanto piú quanto meno c’è, c’entro sempre meno e non di piú o di meno di tutti quanti, inclusi gli esclusi.
Sodomie in corpo 11

Io sí.
Il primo cazzo lo intravedo appena, ma lo intravedo in tutta la sua magnificenza tendere la stoffa sdrucita dei jeans di lui che si è steso nella sezione centrale del jumbo semivuoto destinazione finale Sidney. Dorme il gio- vanotto biondo scuro e non ha l’espressione del finto sonno, dorme proprio, e sogna. Io me ne sto in piedi e fumo, sbircio in lungo e in largo in questo corpo umano che non potrebbe essere in questo momento e in questo modo piú nudo e indifeso. Nel sonno mi regala un gesto insperato: il braccio sinistro si sposta da sotto il fianco e lui, corrugando appena la fronte, dirige la mano possente sulla cerniera, la manipola e con essa l’in- gombro duro che c’è sotto, come a liberarlo da peli impigliati. Avevo infatti sentito dire che le ultime generazioni anglosassoni non vengono piú circoncise e che il filetto è tornato a piacere.
Cazzi e canguri (pochissimi i canguri)

Il padre per quanto imperfetto di un perfetto Scrittore è costituito da tutti gli altri Scrittori, anche forestieri, che lo Scrittore si sceglie (unico fra gli umani, Egli si sceglie la paternità), ma la madre o è quella che si ritrova o meglio che sia orfano del tutto. La mia è quella. E artistica per eccellenza, come la mia vera lingua madre: dialettale e non codificata, senza letteratura – senza passato – che non sia orale.
Nudo di madre. Manuale del perfetto Scrittore

… qualcuno di scollegato dal resto del sangue in circolo sul pianeta, ecco chi farebbe per me, uno non collega- bile a una madre, a un padre, a dei fratelli, a dei nonni, a degli zii, a dei cugini, a mogli o amanti del passato o del presente… del presente men che mai… qualcuno che non mi causi schifo di già per le sue origini irrimedia- bilmente umane, organiche, organicamente parentelari, e schifo anche per i suoi attuali legacci carnali cui pre- sentarmi con esagerata disinvoltura o, previo appuntamento, da farmi vedere di nascosto seduti alla terrazza di un bar mentre mangiano un gelato perché fa famiglia, contesto, curriculum del cazzo socializzato e ottempe- ranza alla messa della domenica santificata insieme, una bara che avvolge una bara dentro una bara con l’ultimo che scava per tutti quanti meno uno, che già sta scavando per lui, e quindi per me che non c’entro niente.
Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo

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