Davanti all’aggressione del caos, è tempo di impugnare forbici e martello, di tagliare e ritmare, incidere con delicata spietatezza. Incuranti del bel gesto che, comunque, sarà bello.
A chi parla questo libro di versi che si presenta come lo spartito di una musica non ancora ascoltata? Alla ignota gioventù: lettori e lettrici futuri che non esistono ancora. A chi vuole distogliersi dalla chiacchiera permanente delle opinioni, fatta di rassegnazione, disinganno, cinismo, accettazione del fatto compiuto. Ai corpi giovani che resistono con le loro svogliatezze, idiosincrasie, rabbie, rancori.
Dal deserto nel quale l’ignota gioventù si muove, la poesia di Trinci parte per rifondare la città, la civilizzazione che la piattezza informe del paesaggio global-capitalistico minaccia di estinguere. Se il male attuale aggredisce direttamente il sistema respiratorio, la poesia ha il compito di custodire il fiato dell’anima, ovvero la lingua: è questo il più urgente programma politico. Per realizzarlo, Transiti mette a disposizione il suo stile fisico, corporeo, ritmato dal rigore della metrica, in cui la memoria della tradizione poetica è affidata al respiro del verso, a un canto che persiste segreto, ma tenace.