Mentre ormai da vari anni molti hanno ripreso e continuato a parlare di “avvento dei barbari” – e di conseguenza nella più parte dei casi a parlare di declino, di “crisi della civiltà” – il doppio titolo di questo libro ha in sé un augurio diverso. Un evento contrario. A (dovere) tramontare, sono i barbari per come vengono immaginati, prodotti e sfruttati dai civilizzatori. La Civiltà è entrata nella sua zona morta, forme di vita territoriale in cui lo spazio divora il tempo e ogni soggettività è disseminata altrove da sé, nell’altro da se stessa: qui non c’è più ossigeno per le sue dialettiche tra sviluppo e sottosviluppo e le sue religioni tra uomini di fede e uomini senza fede; non c’è più fiato per le sue narrazioni di splendore e decadenza. Qui è l’umano a essere convocato in tutta la sua nudità: spogliato del suo doppio travestimento in servo e padrone.