Perché Ernesto de Martino? Perché La fine del mondo? Perché tornare su uno studioso scomparso precocemente, nel 1965, e non abbastanza considerato in vita, nonostante la persistente ammirazione di chi ebbe la opportunità di conoscerlo e ascoltarlo? Perché riproporre un libro pubblicato quasi mezzo secolo fa, che non è neppure un libro, ma una ipotetica e opinabile ricomposizione di carte di archivio, in diversi stadi di elaborazione e non sempre di facile lettura, nonostante ne emani il respiro carismatico di un pensiero tanto coinvolgente quanto affascinante?
Gian Piero Jacobelli, filosofo e antropologo, ripercorre le vicende editoriali di La fine del mondo, comparando le diverse valutazioni, di merito e di metodo, che ne hanno accompagnato la nascita e la oscillante ricezione, per concludere con un antologico montaggio del testo di riferimento, in cui vengono evidenziate le fondamentali articolazioni speculative. Da questa sintetica rilettura emerge come del pensiero demartiniano non si possa fare a meno, nell’ambito di una problematica ricognizione della sindrome apocalittica che ha attraversato le vicissitudini di guerra o di pace del “secolo breve” e che de Martino ha affrontato mediante originali concetti interpretativi, dialogando con la cultura europea e mondiale.