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Gadda con Freud, Schrödinger e Joyce

Un quanto di erotia

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Dietro la grande orchestrazione linguistica di dialetti innestati nelle ampie volute di un registro ancora orgogliosamente manzoniano, il Pasticciaccio di Carlo Emilio Gadda nasconde ben altro che il dramma di inurbati connessi un po’ a caso al comicamente sinistro «palazzo de li pescicani» di via Merulana.
Nella trama apparentemente sfilacciata dell’opera — ma in realtà precisa come un ordigno, anche a dispetto di tagli e sottrazioni — non fa capolino difatti la sola compressione delle storture della Storia in un unico fazzoletto di terra, inumidito se mai dal suo rivolo freudiano di «erotia», ma un grande paradosso della fisica quantistica di quegli anni, che l’ingegnere seppe applicare da par suo agli snodi tematici della più consapevole e ragionata ipotesi di romanzo prodotta dalla cultura italiana del Novecento.

Intento a sua volta, come Vladimir Nabokov e Samuel Beckett in quello stesso arco di anni, a fuoriuscire dal concetto oramai rovente di “letteratura nazionale”, Gadda non può che apparire agli occhi dei lettori del nuovo secolo come l’autore che seppe più di altri fare della sua narrativa il teatro dello scontro dei discorsi del mondo.

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