“Intendo la pratica della dizione, e degli intrecci tra poesia e musica – anche quando Mahler, disordinato da vari dolori nel suo estremo ritiro dolomitico, mise in musica alcune liriche cinesi e ci apparecchiò Il canto della terra – come una ‘messa in scena’ della poesia, un’arte spettacolare, cosa diversa dalla poesia e magari, come ho suggerito, suo antiveleno, luogo dove i lineamenti della poesia appaiono e scompaiono a favore di pubblico dietro le belle trecce della parola-con-musica. Ma da questi gesti rituali può suonare la eco ultrasonica e sottilissima che vibra da tutta la poesia e presuppone la rarefazione dell’io. Allora forse possiamo osservare nella vera carne degli uomini il miracolo tanto immaginato della compassione.
La compassione che nei fatti è la poesia, che la poesia ha richiesto per essere scritta, è stata calata dentro il fatto di una voce e di un corpo – che sia o meno quello del suo autore – che si espone a un pubblico. Se quel corpo si apre e scompare insieme alle sue contingenze per suonare davvero di quel suono bianco fino alle sue incurabili fondamenta e se, insieme a quel corpostrumento-di-poesia, anche il pubblico suona di quella stessa radiazione, si manifesta il nostro legamento esangue, il nessun grado di separazione, il nostro essere fratelli e basta. Eppure, la poesia è un oggetto fatto di parole e basta.”