Memoria ex auditu

Come se fosse dentro una delle opere di Fabio Mauri, la voce di Fabio Mauri viene proiettata su un fondale nero, buio. Sul quale inizia a tremare una luce, debole, chiara: è la memoria, che faticosamente cerca. Lentamente, come una chiazza che si espande, si delinea un profilo. Ma nessuno può dire di chi sia quel volto. Se il volto dell’artista, o quello dell’opera. Probabilmente, entrambi. La voce ricostruisce una serie di stanze dell’ascolto, entro cui vengono rievocati, come fossero progetti, i ricordi. Un “poemetto iconografico” ripercorre gli itinerari artistici di Mauri, come una guida (rigorosamente incongrua) attraverso la quale seguire i percorsi della voce. Le immagini si sovrappongono alle parole, in una dissolvenza incrociata che è il vero metodo di questa memoria che scaturisce dall’ascolto: memoria ex auditu. Non si può scrivere una storia senza date. Lo sto facendo. Devo controllare. Ho diciotto quaderni, non piú aperti da cinquant’anni, legati da uno spago. Per ora il tempo irresponsabile della memoria vaga, tra fronte e sopracciglio, con mezze immagini, e per metà nel flusso di altri tempi imprecisi, simulando una contemporaneità abituale e una connivenza di senso. Fabio Mauri

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