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La disumanizazzione dell’arte. Per un ragionamento sull’arte contemporanea

È un’operetta del 1925 sull’arte, o sull’odio dell’arte, un tentativo ineguagliato di conchiudere e disvelare entro un’unica sequenza di pensiero critico il formidabile rinnovamento delle forme artistiche introdotto dalle avanguardie di primo Novecento, in musica, letteratura e pittura. Tra Mallarmé e Debussy, tra Proust, Joyce e Pirandello, tra futurismo, cubismo ed espressionismo, Ortega y Gasset non soltanto riesce a individuare la trama sottesa che idealmente collega le vaste esperienze della modernità artistica, ma con incredibile lucidità si spinge a indagare i rapporti di questo fenomeno con la società e la scienza, con le strutture fondamentali della civilizzazione novecentesca.
E allora modernità vuol dire odio delle tradizioni per ritrovare l’innocenza del primitivo e dell’esotico, dove l’uomo non è piú centro e misura: “Il poeta comincia dove l’uomo finisce”.
Con una nota introduttiva di Edmondo Berselli e un intervento di Elena del Drago.
“Il poeta comincia dove l’uomo finisce. Il destino dell’uomo è di vivere il suo itinerario umano; mentre la missione del primo è d’inventare ciò che non esiste. In questo solo modo si giustifica la funzione della poesia. Il poeta aumenta il mondo, aggiungendo al reale, che già esiste per se stesso, un continente irreale.
Autore deriva da “auctor”, colui che aumenta. I latini chiamavano cosí il condottiero che conquistava per la patria una nuova provincia.”
Josè Ortega y Gasset

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