Da quando l’autore è morto, non facciamo che inseguirne l’ombra. E riprodurne il feticcio: la faccia, non il volto.
Lo scrittore offre all’obiettivo il palmo della mano aperta. Nega il proprio viso, ma offre un’altra identità, scritta nelle linee della mano. Sceglie di coincidere interamente con il gesto della sua scrittura.
Lo scrittore insegue un tiranno fantasmatico e plurale, padrone, editore, lettore, sovrano, che manca sempre l’appuntamento decisivo. Ma il tiranno ineffabile è lui stesso, l’autore.
Trasmigra, imprendibile. Il suo volto è vertiginosamente riflesso negli specchi che crea. Il suo corpo, il corpo pesante e opaco che lo ossessiona, è in continua dissoluzione. Si fa liquido, come l’inchiostro, e poi si rapprende sulla pagina.
È quella impressa nel profilo delle parole l’unica fisionomia possibile dell’autore.