La cosiddetta “spagnola” ebbe una caratteristica che la distingue ancora oggi da molte altre epidemie
e pandemie: colpì in maniera drammatica la fascia di età tra i 20 e i 40 anni, con un picco statistico
di mortalità, sia per gli uomini che per le donne, intorno ai 27 anni. Questo avvenne in un periodo in cui, per la prima volta in millenni, la speranza di vita della specie umana si stava allungando, grazie al miglioramento delle condizioni di vita e alle conquiste della medicina.
La guerra e la pandemia azzerarono, sia pure per breve tempo, questa speranza.
La “spanish flu”, malgrado sia stata una delle peggiori catastrofi demografiche della storia, sembra aver lasciato poche tracce. Un’inspiegabile “congiura del silenzio”, come se l’intera umanità avesse voltato le spalle all’evento.
Le possibili ragioni sono legate alla guerra: durante il conflitto bisognava evitare il disfattismo e la censura impediva che la stampa desse risalto alla vicenda; e dopo, nessuno voleva ricordarla.
La “spagnola” si legò al disastro della prima guerra mondiale e ne diventò parte integrante, una sorta di appendice, anche storiograficamente. Ma gli storici hanno calato a lungo il sipario su una strage, cui persino il cinema e la letteratura sembrerebbero non aver dato la giusta importanza. Quanto meno all’apparenza, se l’arte è sempre, persino suo malgrado, il sintomo del rimosso della storia.
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